Sulle tracce dei Longobardi tra Farfa, Capua e San Vincenzo al Volturno
Era da un po’ che Luigi non scriveva per noi, era impegnato in un interessante corso sui Longobardi ed oggi è tornato qui su Travel With The Wind proprio con un racconto del suo recente viaggio alla scoperta dei Longobardi. Un itinerario sulle tracce longobarde tra Farfa, Capua e San Vincenzo al Volturno.
Vi state chiedendo cosa ci facessero i Longobardi in quelle terre tra Lazio, Molise e Campania? Ce lo racconta Luigi in questo nuovo articolo.
Ancora i Longobardi?
“Ancora i Longobardi? Ma non li abbiamo già visti tutti? A Benevento?”
“Abbiamo visto solo quelli del nord, ma quelli del sud hanno resistito più a lungo.”
“A Benevento? E dov’è Benevento?”
“Non solo a Benevento…” e a questa risposta mi guarda con aria stupita e rassegnata.
Abbazia di Farfa
Le strade della Sabina sono bellissime, è tutto un girovagare su e giù tra boschi e colline, poderi e uliveti, prati e vigneti, e in fondo l’abbazia di Farfa. Dalla stradicciola del parcheggio si vedono sbucare dalle chiome degli alberi una grande torre antica, quattro cipressi severi e un campanile con le trifore romaniche.
“E questa l’hanno fatta i Longobardi?” chiede lei dubbiosa.
“No, l’hanno distrutta… Ma poi l’hanno ricostruita, i frati ovviamente, col supporto del duca di Spoleto, longobardo” rispondo io che mi sono documentato.
L’abbazia è grande, il chiostro d’ingresso è ombreggiato da alti platani e chiuso in fondo da un imponente muro scandito da lesene essenziali e da due lunghe feritorie, sembra il bastione di un castello non il muro di una abbazia.
“E cosa c’è di longobardo?”
“Queste basi del muro e questi capitelli” ci mostra la nostra guida personale, siamo gli unici visitatori, per ora. Due giovani dalla carnagione scura parlano tranquilli in fondo a un corridoio, un altro sta terminando la pulizia del presbiterio, guardiamo curiosi la nostra guida: “Sono novizi benedettini dello Sri Lanka, l’abbazia ha rapporti con una diocesi dell’isola”.
Se i muri sono di pietra grezza, l’interno della chiesa è – come al solito- sta di sicuro pensando mia moglie, di una ricchezza profusa a piene mani: i marmi delle colonne, il mosaico del pavimento, i quadri delle cappelle, l’imponente soffitto a cassettoni dorati, gli affreschi del coro; d’altra parte l’abbazia dopo essere stata dichiarata “Basilica imperiale” da Carlo Magno, possedeva 683 tra chiese e monasteri, due città (Civitavecchia e Alatri), 132 castelli, 16 fortezze, 7 porti, 8 miniere, 14 villaggi, 82 mulini, 315 borghi e una nave commerciale esentata dai dazi dei porti dell’impero carolingio, e chi più ne ha, più ne metta.
In una stanzetta in fondo alla navata di sinistra c’è una teca con una grande chiave di ferro: “E’ quella della porta della Santa Casa di Loreto” ci spiega gentile il nostro accompagnatore, provare per credere.
E la famosa biblioteca? Chiusa per lavori in corso. Peccato, andrà meglio la prossima abbazia.
San Vincenzo al Volturno
“Quanti giorni avranno impiegato?”
“Chi? A far cosa?”
Fino a Montaquila tutto ok poi mi sono perso a Cerro al Volturno, troppo distratto a immaginare come doveva essere viaggiare al tempo dei longobardi.
“Quanto giorni avranno impiegato i tre monaci che da Farfa sono venuti qui a fondare un nuovo monastero: una settimana? Un mese?”
“Di sicuro non si sono persi come noi” commenta lei sospirando.
L’abbazia di San Vincenzo al Volturno è annidata tra i monti dell’alto Molise, ai piedi delle Mainarde, e non ci capiti per caso, devi proprio cercarla e non distrarti coi longobardi.
Abbiamo prenotato una visita guidata alla cripta di Epifanio, nell’area archeologica del sito, e siamo comunque in perfetto orario. Una roggia dalle acque limpide, tra le erbe che fluttuano nella corrente di sicuro si nascondono le trote, è il Volturno appena nato da un laghetto più avanti, una casetta di legno come biglietteria e tettoie ondulate di alluminio a bilanciare, in negativo, la bellezza del fiumicello.
La cripta di Epifanio è un gioiello ben nascosto ritrovato per caso da un contadino caduto dentro un buco, la finestrella della cripta. Noi, siamo in quattro, entriamo più comodi da una porta chiusa a chiave seguendo la signora che ci fa da guida. Cinque gradini e siamo in un piccolo ambiente a croce diseguale, le pareti sono tutte affrescate, lo sai perché hai guardato e ti sei informato in internet, ma dal vero sono un’altra cosa: gli arcangeli ad ali spiegate, san Lorenzo sulla graticola, la Madonna Regina degli Angeli, l’abate Epifanio ai piedi della croce, le sei martiri…
“Assomigliano alle suore del monastero di Torba” commenta mia moglie: vedi che si lamenta per principio ma le gite culturali le apprezza e si ricorda.
Sotto le tettoie ci sono i resti della prima abbazia fondata dai tre monaci di Farfa col beneplacito e supporto del longobardo Gisulfo II, duca di Benevento.
“Se i Longobardi l’hanno costruita, chi l’ha distrutta?”
“I saraceni mandati dal duca-vescovo bizantino di Napoli” risponde la nostra guida.
Lascio mia moglie seduta su un muretto – basta sassi, ne ho visti a migliaia – e faccio un giro tra gli scavi. E in effetti sarà il caldo soffocante, sarà l’ora pomeridiana ma è difficile immaginare che quelle file di pietre polverose, quei monconi di colonne, quei resti di affresco che si staccano dal piede del muro una volta erano celle, sale comuni, cucine per 300 monaci, un lungo refettorio, la grande basilica di San Vincenzo Minore, tutto distrutto, tutto scomparso.
E adesso? Nell’abbazia nuova ricostruita dall’altra parte del Volturno, nuova nel senso che ha solo 900 anni, c’è una comunità di monache benedettine provenienti da un monastero degli Stati Uniti. A Farfa i nuovi monaci provengono dallo Sri Lanka, siamo diventati terra di missione.
Capua
Dall’abbazia di San Vincenzo basta seguire il Volturno e arrivi a Capua.
“Ma non è quella di Annibale? Cosa c’entrano i longobardi?”
“Poi vedrai, ma prima dobbiamo trovare la Capua giusta.”
Ho impiegato un po’ a studiare e a capire: i longobardi, che erano succeduti ai romani, abitavano la Capua romana, la Capua Vetere di oggi, poi nell’841 una banda di saraceni mandati da Radelchi I, principe di Benevento, ha semidistrutto la città e gli abitanti, longobardi, si sono quindi rifugiati prima a Sicopoli, scordatevi il nome, non c’è più niente, poi a Consilinum che era il porto sul Volturno di Capua Vetere, e lì si sono finalmente fermati vista l’ottima posizione di difesa in un’ansa del fiume, e questa è la nostra Capua attuale.
In città, 17.645 abitanti nel 2023, ci sono più di 20 chiese e molte di queste risalgono al tempo dei longobardi, ma non pensate di trovarne una, diciamo, intera, sono tutte rimaneggiate, ampliate, restaurate, girate, inglobate in case e palazzi, insomma – le solite cose – dice mia moglie, e come darle torto.
Ci sono numerose “Via dei Longobardi” in città e paesi italiani ma di “Via dei Principi Longobardi” ce n’è una sola ed è a Capua. E’ in questa via, al numero 10, che troviamo la prima chiesa longobarda: San Salvatore a corte.Facciata bianca divisa in tre parti, due colonne di pietra grigia con capitelli ornati da foglie di palma invece che di acanto e la visita finisce qui: la chiesa è chiusa dice il cartello, viene aperta il sabato mattina, ma oggi è giovedì, oppure la si può visitare su prenotazione.
“E’ stata fondata più di mille anni fa dalla moglie di Landolfo, il gastaldo di Capua, ti ricordi? I duchi, i gastaldi…”
“Non hai prenotato?” e scuote la testa.
San Giovanni a corte? Idem. San Michele a corte? Lo stesso.
“Beh, abbiamo fatto il giro di quello che doveva essere il palazzo dei principi longobardi” mormoro cercando di riguadagnare un po’ di credito.
Il Museo Provinciale Campano merita una visita sicuramente per i numerosi reperti romani e longobardi (molto meno numerosi) ma soprattutto per la grande esposizione delle “madri”, statue di donne sedute con uno o più bambini in braccio. Sono ex voto portate al tempio di Mater Matuta, antica divinità italica dell’aurora e della nascita, trovate nei pressi di Capua Vetere e risalenti al tempo di Roma repubblicana: statue di tufo, nere, tozze, grezze, emozionanti.
“Il museo ha inglobato un’altra chiesa longobarda, San Lorenzo ad crucem…” dico uscendo in via Roma, ma ormai è tardi, mi sono giocato Capua longobarda.
Ringraziamo Luigi per averci portato alla scoperta dei Longobardi tra Lazio, Molise e Campania, con un viaggio affascinante tra storia e archeologia. Non vediamo l’ora di leggere la seconda parte del suo itinerario, che ci condurrà alla scoperta di Salerno, Benevento e Monte Sant’Angelo, altre tappe fondamentali del suo viaggio lungo le tracce longobarde!
Vi ricordiamo che, se volete seguire l’esempio di Luigi e scrivere un articolo da pubblicare sul nostro blog, potete contattarci: saremo felici di condividere le vostre esperienze di viaggio con la nostra community.
Tutti gli articoli di Luigi sono disponibili sulla sua pagina dedicata qui su Travel With The Wind. Altri racconti li potete leggere su Non Solo Turisti e su Gli scrittori della porta accanto. Restate con noi per il prossimo capitolo del viaggio!
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