I gatti acrobati di Nga Phe Kyaung in Myanmar
Per la rubrica “Gli amici di Travel With The Wind raccontano” è tornato a trovarci Roberto che ci fa fare un viaggio virtuale in Myanmar quel paese dove si trovano i famosi pescatori acrobati dell’etnia Intha, avrete sicuramente visto una loro fotografia (nel tempo sono quasi diventati il simbolo del Myanmar). In questo articolo Roberto non ci parla di loro ma di un altro gruppo di acrobati birmani, ci parla dei gatti acrobati del tempio di Nga Phe Kyaung.
Ecco il suo racconto.
Il Myanmar e i gatti acrobati del tempio di Nga Phe Kyaung
Fino a pochi anni fa non c’era turista che avesse visitato il Myanmar che non si fosse imbattuto nello spettacolo dei gatti acrobati del tempio di Nga Phe Kyaung, sul lago Inle. Ora purtroppo questo simpatico intrattenimento è stato abolito dai monaci buddisti del tempio, convinti che l’affluenza dei turisti nel loro peraltro splendidamente decorato luogo di culto fosse dovuta più alla prosaica curiosità verso i felini che ad una sincera devozione mistica.
Rimane, a chi come noi ha visitato il Myanmar tempo addietro, il ricordo di un simpaticissimo e disinvolto incontro con questi pelosetti che a mio modesto parere in qualche modo contribuiva a rendere ancora più suggestivo un luogo pregno di profonda e sacrale religiosità, permeato da una silenziosa ammirazione.
Il lago Inle e i famosi pescatori dell’etnia Intha
Il lago Inle, venti chilometri per dieci di placide e poco profonde acque molto pescose, è abitato lungo le sue rive dalla etnia Intha, un popolo di pescatori dalla caratteristica ed inconfondibile postura su una gamba sola sulle proprie leggere imbarcazioni e dediti, oltre che alla pesca, alla coltivazione di ogni sorta di ortaggi sopra dei veri e propri orti galleggianti, in prossimità delle abitazioni arditamente costruite su palafitte utilizzando robusti tronchi di teak.
Una vita che scorre ogni giorno uniformata alla tranquilla sicurezza delle acque del lago, solo in rare occasioni appena increspato e dai colori che improvvisamente cambiano con il trascorrere delle ore ed in base all’inclinazione del sole.
Lungo queste rive si incontrano piccoli villaggi, più che altro minuscoli agglomerati di palafitte dalle quali bambini sorridenti e chiassosi, con le loro gambette penzoloni dal parapetto, ci mandano i segnali della loro vivace presenza. Ogni tanto, qualche gatto casalingo acciambellato vicino alla porta di casa solleva sornione la testa come per dire “occhio che qui ci abito anche io”.
Questo è il lago Inle, un posto così lontano dalla caciara cittadina a cui siamo abituati, dai clacson arroganti ed insistenti, da ogni rumore molesto, e così vicino ad una dimensione di pace e tranquillità quasi tangibile fisicamente da sembrare un devoto, liquido retaggio della religione, una didascalia cui la fede declina il proprio linguaggio fatto di silenzi, di meditazione e di rispetto per il Buddha e per quello che rappresenta.
L’arrivo al tempio di Nga Phe Kyaung
Per tutto il pomeriggio ho lottato strenuamente con il nostro skipper locale, portatore sano di un inglese pressoché inestricabile, al quale risultava oltremodo indigesto il mio inglese asettico e tendenzialmente privo di inflessioni. Ovviamente ho finito per dichiararmi platealmente sconfitto, accettando il suo sorriso di compatimento per quella che considerava una mia carenza linguistica e limitando il dialogo agli aspetti essenziali del tour.
Ci ha scarrozzato ovunque sul suo singhiozzante ma imperterrito barchino, il cui piccolo ma efficiente motore fuoribordo mi ha fatto capire, mostrandomi una consulta matricola, essere il motore di una motozappa di fabbricazione cinese, opportunamente riciclato e modificato.
Infine, mentre noi eravamo già presaghi di un meraviglioso tramonto incombente, con lo sguardo compiaciuto di chi è consapevole della prevista sorpresa, il nostro nocchiero ha attraccato davanti al tempio di Nga Phe Kyaung.
Si tratta di una magnifica struttura interamente costruita in teak, che poggia su ben 654 palafitte. All’interno, sedotti da una luce delicata che, complice l’imbrunire, pareva sciogliersi nelle tonalità del legno ora chiaro, ora scuro, ora intarsiato splendidamente, ora liscio, ammiriamo alcune possenti statue del Buddha ricavate dal bambù, vuote all’interno e colorate dopo essere state immerse nella lacca ed essiccate al sole. Intorno alle statue, a decorare le nicchie che le accolgono, immagini floreali e naturalistiche della flora e della fauna del lago, realizzate con impareggiabile maestria da sapienti maestri ebanisti.
I gatti circensi del tempio di Nga Phe Kyaung
E tra una sala e l’altra un gatto ora bianco e nero, ora rosso, ora grigio, gironzola indolente tra le nostre gambe quasi a volerci condurre per mano nella sala delle esibizioni. Sono gatti assolutamente “normali”, nel senso che non hanno niente a che vedere con la razza del “Sacro di Birmania” che oggi ha tanti estimatori anche in occidente, ma sono certamente consapevoli e fieri del loro retaggio quasi mistico e della nomea che li precede tra i turisti non foss’altro per la ricompensa, in termini di piccoli pezzetti di cibo, che sanno di ricevere in premio assecondando i comandi del giovane addestratore che li sta aspettando.
Questo giovane, vestito in modo laico quindi non paludato nella tipica veste dei monaci, sta seduto sul pavimento e, tenendo in una mano un sottile cerchio di metallo o arcuando gli avambracci in guisa di ciambella, invita i felini a saltarci attraverso più e più volte. Questi volteggi, in numero variabile a seconda dell’appetito o della reattività del singolo, vengono accompagnati dal sorriso e dall’ammirazione dei presenti senza mai peraltro alcuna deroga al religioso silenzio che il santo luogo richiede come forma di devozione e rispetto.
Al termine di una decina di minuti di esibizione, i gatti si mettono in buon ordine davanti al loro maestro ed ottengono il giusto premio alla loro fatica, considerato che nell’arco della giornata vengono sollecitati ad esibirsi almeno cinque o sei volte, a seconda dell’affluenza dei turisti.
Non è tanto il valore delle acrobazie feline, di per sé neanche troppo “circensi”, quanto l’impressionante abbinamento all’apparenza casuale e spontaneo tra un gioco innocente e la sacralità di un luogo permeato di profonda religiosità, che rende il tempio di Nga Phe Kyaung un’esperienza unica ed una visita obbligatoria per il viaggiatore del mondo curioso e attento.
Se vi è piaciuto questo l’articolo di Roberto sui gatti del monastero di Nga Phe Kyaung, e volete leggere qualche altro suo racconto, potete andare sulla sua pagina dedicata.
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