El Hierro: l’isola dalla natura incontaminata
Interrompiamo temporaneamente la saga indiana di Luigi per andare con lui, e la sua compagna di avventure, ad El Hierro, una delle isole Canarie che sogniamo da anni di visitare e, almeno per il momento, lo facciamo attraverso le sue parole. Ecco il racconto di Luigi.
Cosa vedere ad El Hierro
El Hierro, l’isola più occidentale delle Canarie, la più lontana dalla Spagna, la più giovane, si fa per dire, meno di due milioni di anni, la più piccola, per forza, è stata dimezzata da un’enorme frana cinquantamila anni fa, la meno abitata, un po’ più di diecimila isolani, l’isola scorbutica che siamo riusciti a raggiungere solo al terzo tentativo dopo due falliti per problemi sanitari (leggi COVID) – ma cosa c’è da vedere su ‘sta famosa isola? borbotta mia moglie – la natura – ah beh…
Dopo una settimana sull’isola abbiamo convenuto che El Hierro, tra tutte le Canarie, è la meno adatta ai ciclisti della domenica. Dal livello del mare ai 1500 metri della cima della caldera collassata non c’è un metro di strada piana, o ti arrampichi su tornanti per scalatori professionisti o ti precipiti a tuo rischio e pericolo in discese senza barriere e sotto c’è sempre un barranco, qui i burroni li chiamano così.
Anche il bel rettilineo che su Google Maps corre lungo la costa di El Golfo in realtà è tutto un susseguirsi di arditi saliscendi tipo montagne russe scavallate più volte tornando alla nostra casa rural a Sabinosa, il villaggio più a ovest dell’isola più a ovest del territorio più a ovest della Spagna, non siamo snob, quando abbiamo prenotato non lo sapevamo.
Il Meridiano Cero di El Hierro
Per restare nell’ambito delle coordinate geografiche il primo giorno decidiamo di andare a cercare il famoso Meridiano Cero vicino al faro di Orchilla – cos’è? Il monumento sul punto dove passava il Meridiano Zero (Cero in spagnolo) prima che gli Inglesi, i soliti pirati secondo gli Spagnoli, convincessero tutti che Greenwich era meglio.
La strada che da Sabinosa passa per la spiaggia di Arenas Blancas e sale ai mirador del Lomo Negro è la quintessenza delle strade dell’isola: ripida come il Mortirolo, tutta tornanti, nessun guard rail, una salita un po’ ansiogena, dall’alto un paesaggio primitivo, ma non è quello che volevamo? Sguardo di compatimento.
La discesa verso il faro di Orchilla, che si intravede dietro uno dei tanti coni vulcanici che bucherellano l’isola, attraversa una landa dove i pendii color ocra sono interrotti dal nero delle colate più recenti e punteggiati da cespugli grigio sericeo – bello, ma le altre isole erano più verdi, mi fa lei – vero ma era marzo, non agosto, e anche se le Canarie sono le isole dell’eterna primavera ci sono mesi più primaverosi di altri – e il Cero? direte voi – che c’entra, un cartello permetteva l’accesso solo alle 4×4, non l’abbiamo visto il monumento al Meridiano Cero ma quel che conta è l’idea.
El Sabinal: il famoso ginepro di El Hierro
Se dal faro risalite tutti i tornanti e proseguite sui costoni coperti dai cespugli verdeargento arrivate sull’altopiano della Dehesa dove, da qualche parte, c’è il famoso El Sabinal, il ginepro simbolo di El Hierro, il soggetto più fotografato dell’isola, quello tutto piegato dal vento che su questi dossi dicono sia incessante, per la verità noi ce ne eravamo già accorti in fase di atterraggio con l’ATR 75 da Tenerife, i ginepri e i piloti sono abituati, i passeggeri un po’ meno.
I pochi esemplari di quello che era una volta un bosco, sopravvissuti alle raffiche degli alisei agli incendi ricorrenti e al pascolo quotidiano, sono tronchi consunti e sbiancati come ossa di dinosauro, sono corde di legno contorte dalle bufere, rami scheletrici prostrati al suolo, sono fronde cupe in fuga verso il mare, di notte si trasformano in fantasmi che sibilano nel vento. Belli, anche secondo mia moglie.
Le spiagge di El Hierro
Un’altra cosa che abbiamo scoperto è che a El Hierro non servono gli ombrelloni da spiaggia perché non c’è n’è di spiaggia.
Las Arenas Blancas vicino alla nostra casa rural è in effetti un po’ di sabbia bianca ma per arrivare al mare devi attraversare una distesa di sassi e roccette, la spiaggia del Verodal, più avanti, è una striscia di sabbia rosso cupo lunga un centinaio di metri ai piedi di una parete rocciosa incombente e un cartello ne proibisce l’uso, pericolosa.
Altre playas non le abbiamo né viste né cercate, non ce n’è degne di quel nome ma è proprio grazie a questa mancanza che El Hierro si è salvata dall’invasione di turisti e alberghi che ha soffocato in maniera più o meno intensa le altre isole tanto che nel 2000 è stata dichiarata Riserva della Biosfera dall’Unesco per i suoi ambienti ancora naturali e il suo programma di autosufficienza energetica con l’uso di sole fonti rinnovabili.
I Charcos
Va bene l’Unesco ma noi dove facciamo il bagno? e mi guarda perplessa – nessun problema ci sono i charcos – e cioè? Sono pozze naturali rinforzate da muretti e paraflutti ai piedi delle scogliere, e quando dico ai piedi vuol dire che bisogna scendere a piedi dalla scogliera per sentieri e scalinate, e risalire.
Noi abbiamo visto in sequenza:
- il Charco Azul, originale e famoso perché ci si entra passando da una grotta
- il Pozo de Las Calcosas, più bello dall’alto (è la scusa di mia moglie per non scendere) con le sue casette dai tetti di canne che non in riva al mare (aveva ragione lei)
- il Charco Los Sargos, impossibile fare il bagno per via delle onde che però sono fotogeniche
- la cala di Tamaduste, completamente naturale ma un po’ rumorosa visto che è sulla rotta di decollo a trecento metri dall’aeroporto (ma i voli sono pochi)
- la Laja, proprio sotto i tornanti che scendono da Sabinosa, inaspettata e deserta tranne un lui una lei e un cagnolino intraprendente, un passaggio sotto colonne di lava nera, un cordolo di cemento ricoperto dalle alghe, un laghetto trasparente che si spegne all’imbocco di una grotta, il tonfo incessante e ipnotico delle onde sugli scogli
I Mirador
Se da La Frontera, la cittadina principale di El Golfo, la valle formata dalla frana preistorica, si imbocca la strada che si inerpica sulla parete della montagna si arriva ai mirador la maggior parte dei quali “mira” ovviamente El Golfo da cui si è partiti.
Due sono spettacolari, quello di Jinama con una terrazza che si protende nel vuoto e pone qualche problema a chi soffre di un minimo di vertigini, nessuna esitazione da parte di mia moglie a salirvi per farsi fotografare, misteri della psiche umana, e quello altrettanto spettacolare de La Peña, opera di César Manrique, il famoso artista totale di Lanzarote, un ristorante sulla cui terrazza con un bicchiere in mano puoi rilassarti e goderti i boschi aggrappati alle pareti verticali della montagna, le casette lillipuziane di La Frontera, i teloni delle coltivazioni di banane, la schiuma delle onde che sottolinea il profilo delle scogliere, la distesa blu dell’oceano dove l’occhio alla fine si riposa.
Il mirador di El Julan invece si trova sul versante opposto dell’isola, per arrivarci una strada stretta lunga e deserta che si espone sui costoni e si rintana in tutte le rughe della montagna. Il panorama è un ripido versante ravvivato in alto dal verde tenero dei pini delle Canarie poi arido e brullo in basso verso il mare, non una costruzione tranne il Centro de Interpretaciòn del Parque Cultural de El Julan, eppure è su questo ripido pendio che i primi abitanti dell’isola hanno inciso simboli antichi ha spiegato, a noi unici visitatori, l’unica persona di servizio al Centro che è anche il più famoso studioso vivente del sito – sicuro? certo, guarda la foto sul pannello, è lui!
La famosa laurisilva e il Garoé
Strade a parte, l’isola è attraversata da una fitta rete di sentieri ben segnalati e se le strade sono tutte salite alpine, i sentieri…pure, insomma El Hierro è il paradiso del trekking, zaino in spalla e racchette in mano.
Per verificare di persona, una mattina mi sono incamminato sotto il sole già cocente sul sentiero che da Sabinosa sale verso la mitica fonte di Mencàfete, ed è subito un bagno di sudore sul ghiaietto rosso, alberelli secchi di euforbia sulla scarpata, centinaia di rosette di eonio sui muretti, finalmente l’ombra di qualche alberello di erica e ginepro.
Sul sentiero gli aghi sottili cominciano a coprire il malefico ghiaietto, più su alberelli sempreverdi, tra i sassi della mulattiera ci sono adesso foglie secche, ciuffi d’erba e terra sempre più umida, si vede il solco lasciato da un rivolo d’acqua recente, ancora un po’ di fatica ed ecco alberi dai rami ricoperti da licheni come lunghe barbe bianche, fresco, silenzio, lame di luce sui tronchi verdi di muschi e sulle felci che ricoprono il suolo, un bosco fatato e agognato.
E’ la “famosa laurisilva”, il bosco delle streghe, direbbe mia moglie che l’ha dovuta visitare su ogni isola delle Canarie, sì, famosa, è una foresta preistorica che una volta copriva anche le coste del Mediterraneo ed è sopravvissuta solo su queste isole, una foresta dove abbondano alloro, erica arborea e agrifoglio, una foresta che incredibilmente vive delle sottili piogge portate dagli alisei e dalle goccioline di condensa su foglie rametti e licheni – dubbiosi?
Allora andate a vedere El Garoé.
Da San Andrès c’è una strada sterrata, una ripida discesa, il biglietto al Centro de Interpretaciòn del Arbol Garoé, a piedi in una vallecola verde di alberi, tre piccole cisterne scavate nel fianco terroso della montagna, felci sul bordo, alghe sul fondo, lenticchie d’acqua in superficie, e lì sopra, come su un trono, il Garoé, l’albero che filtra la nebbia e produce acqua. Nella leggenda che lo avvolge c’è una donna del popolo antico che tradisce per amore di un hidalgo invasore e va a finire male ma senza la leggenda sarebbe un semplice fenomeno fisico non El Garoé, l’Arbol Santo di El Hierro.
Ma quindi, alla fine, El Hierro com’è?
Nessuna fila di ombrelloni e di negozi di souvenir, nessuna caciara notturna o musica a tutto volume, nessun villaggio turistico con le casette tutte uguali, nessun centro commerciale affollato da turisti annoiati, solo il battito sordo delle onde sulle scogliere a picco, tuffi per pochi intimi in pozze segrete, crateri di sabbie rosse e colate di lava nera, sentieri che si perdono tra boschi antichi e pinete luminose, paesini dove tutti si conoscono e il tempo si è fermato, questa è El Hierro, l’isola del Meridiano Cero (ancora ‘sta storia? No, non l’abbiamo visto!).
Le nostre conclusioni
Se prima El Hierro era solo una tra le tante mete per i nostri futuri viaggi, dopo aver letto l’articolo di Luigi abbiamo capito che El Hierro è proprio l’isola che fa per noi!
Probabilmente voi che ci leggete lo sapete già ma ad attirarci ad El Hierro è soprattutto la mancanza di spiagge, e di conseguenza di turisti, ma anche le strade sterrate, la natura incontaminata e i trekking immersi nella natura.
Se anche voi amate questo tipo di viaggi, non vi resta che prenotare un bel volo per le Canarie!
Attenzione però che non esistono voli diretti per El Hierro. Per raggiungere El Hierro via aerea bisogna arrivare a Tenerife o Gran Canaria e prendere un volo interno per El Hierro. E’ raggiungibile anche via nave da Tenerife, la traversata non è lunga (solo 2 ore e mezza) quindi fattibilissima. Se decidete di arrivare a Tenerife leggete il nostro articolo su come spostarvi da Tenerife Sud a Tenerife Nord, vi servirà farlo per raggiungere El Hierro!
Ringraziamo Luigi per averci fatto fare questo viaggio virtuale sulla meravigliosa isola di El Hierro e vi ricordiamo che, se anche voi volete cimentarvi nella scrittura di un articolo, potete scrivere qualcosa per noi. Potete far conoscere, non solo a noi, ma anche a tutti i nostri amici il vostro paese, la vostra città o un luogo che vi è rimasto nel cuore, contattateci!
Saremo molto felici di ospitarvi su Travel With The Wind!!
Avevo già sentito parlare di El Hierro come l’isola forse più selvaggia delle Canarie! Me lo confermi con queste parole!
Devo proprio andarci!